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La messa alla prova è un procedimento speciale introdotto nell’ordinamento italiano dalla Legge n. 67 del 28.04.2014 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizione in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili) e attualmente disciplinato dagli artt. 464-bis e seguenti c.p.p. e 168 bis e seguenti c.p.-
 
 
Si tratta di una modalità alternativa di definizione del processo penale, su richiesta dell’indagato / imputato, volta ad ottenere la pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, al termine dell’espletamento del periodo di prova, positivamente valutato dal Giudice.
La misura può essere richiesta fino a quando non siano state formulate le conclusioni, in fase di udienza preliminare (v. artt. 421 e 422 c.p.p.), o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio.
In caso di notifica di decreto di giudizio immediato, la richiesta va formulata nei termini di cui all’art. 458, c. 1, c.p.p. (15 giorni), mentre nel procedimento per decreto, la richiesta va presentata con l’atto di opposizione.
Per ottenere l’estinzione del reato occorre, comunque, che l’indagato / imputato:
1. risarcisca i danni derivanti dal reato (ove possibile) alla persona offesa ovvero alla parte civile se già costituitasi tale nel procedimento penale pendente;
2.   elimini le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato commesso;
3.   svolga un periodo di lavori di pubblica utilità, presso un Ente autorizzato (la lista si trova pubblicata sul sito del Tribunale ove è pendente il processo), che si concluda con valutazione positiva da parte del Giudice;
4.   accetti il controllo dei Servizi Sociali.
 
 
La ratio della norma che prevede la messa alla prova è quella di evitare il sovraffollamento delle carceri, permettendo all’indagato / imputato di conseguire il fine rieducativo della pena tramite il compimento di un periodo di lavoro di pubblica utilità, nonché un percorso di rieducazione e risocializzazione.
 Per l’ammissione alla messa alla prova, occorrono determinati requisiti: il legislatore ha previsto che l’indagato / imputato possa richiedere la misura di cui trattasi se accusato di aver commesso un reato punito con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero chi sia accusato di un reato che rientri fra quelli previsti dall’art. 550, c. 2, c.p.p.,di competenza del Tribunale monocratico con citazione diretta a giudizio, ovvero:

a) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 del c.p.);

b) resistenza a un pubblico ufficiale (arti. 337 del c.p.);

c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato ex arti. 343, c. 2, c.p.;

d) violazione di sigilli aggravata ex art. 349, c. 2, c.p.;

e) rissa aggravata ex art. 588, c. 2, c.p., con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime;

e-bis) lesioni personali stradali, anche se aggravate, ex art. 590-bis c.p.;

f) furto aggravato (art. 625 c.p.);

g) ricettazione (art. 648 c.p.).

Per quanto riguarda i presupposti soggettivi, occorre che chi avanzi la richiesta di messa alla prova non sia già stato dichiarato delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza, non gli sia stata già concessa la misura di cui si discute e, successivamente, revocata, oppure, non gli sia già stata concessa ed abbia riportato esito negativo.La richiesta di messa alla prova va presentata al Giudice e deve essere corredata di un programma di trattamento elaborato dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (UEPE) competente per territorio, ovvero da un’istanza rivolta al medesimo Ufficio e finalizzata alla sua elaborazione.
Presentata l’istanza, il Giudice procede alla valutazione, in udienza pubblica o in un’udienza camerale, verificando la sussistenza dei requisiti formali e delle condizioni di applicabilità.
Il Giudice, per esprimere il proprio parere, deve utilizzare gli atti contenuti nel fascicolo e ciò che viene prodotto dall’interessato oppure può utilizzare le informazioni raccolte dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna nel corso delle indagini socio-familiari e delle relative valutazioni, oltre che i risultati degli accertamenti eventualmente disposti d’ufficio.
Lo svolgimento della messa alla prova ex art. 168 bis c.p. deve essere articolato con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la durata della prestazione “lavorativa” non può superare le 8 ore giornaliere.
 

 

Al termine della valutazione, qualora il Giudice ritenga che non ricorrano i presupposti di cui sopra, emetterà un’ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova, impugnabile unitamente alla sentenza.
Qualora, invece, ritenga che ricorrano tutti i presupposti, emetterà un’ordinanza ammissiva con la quale disporrà la sospensione del processo per un periodo che non può essere superiore a un anno quando si tratti di reati puniti con pena pecuniaria e a due anni quando si tratti di reati puniti con pena detentiva.
La sospensione del processo penale decorre dal momento della sottoscrizione del verbale di messa alla prova e comporta la sospensione della prescrizione fino al termine determinato dal Giudice.
Anche la giurisprudenza di legittimità si è occupata della messa alla prova.
Passando in rassegna le pronunzie più recenti, si segnala che la Corte di Cassazione con sentenza n. 47694 del 2019 haaffermato che: “-omissis- nel certificato del casellario rilasciato a richiesta dell’interessato non deve essere menzionata la sentenza che dichiara l’improcedibilità per estinzione del reato a seguito dell’esito positivo della messa alla prova, iscrizione che invece deve rimanere annotata per risultare nella certificazione richiesta dall’autorità giudiziaria -omissis-”.
 

 

Tale pronuncia conferma quanto già disposto dalla sentenza n. 231 del 07.12.2018 della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità delle norme sul casellario giudiziale (artt. 24, c. 1 e 25, c. 1, DPR n. 313/2002) nella parte in cui imponevano di riportare nel certificato generale e in quello del casellario, richiesti dall’interessato, sia l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato sia, implicitamente, anche la sentenza che dichiara l’estinzione del reato per il buon esito della prova, nonché quanto previsto dal D.Lgs.  n. 122 del 2018, con cui il Governo ha riformato le disposizioni di cui sopra escludendo la menzione nel certificato unico di entrambi i provvedimenti concernenti la messa alla prova.
La Corte Costituzionale, inoltre, con pronunzia recentissima, del 11.02.2020 n. 14, ha ritenuto illegittimo l’art. 516 c.p.p. nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non consenta all’imputato di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova.
La questione era stata sollevata da un Tribunale toscano nell’ambito di un procedimento penale in cui il Pubblico Ministero contestò, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, il reato di furto in abitazione in luogo di quello originariamente ritenuto di ricettazione e vide l’imputato chiedere, a seguito di detta riqualificazione, l’affidamento in prova.
Come visto sopra, il furto in abitazione rientra tra i reati per cui si può chiedere il rito alternativo.
Nel caso in esame, il Giudice avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la richiesta, in quanto proposta oltre il termine di apertura del dibattimento.
 

La Corte Costituzionale è intervenuta ed ha stabilito che, siccome la scelta dei riti alternativi da parte dell’imputato costituisce una delle più qualificanti espressioni del diritto di difesa, detta scelta deve poter essere formulata tutte le volte in cui nel corso dell’istruttoria dibattimentale, emerga un fatto diverso da quello originariamente contestato, ovvero un reato connesso o una circostanza aggravante non previamente contestati all’imputato.
Diversamente, a detta della Corte, verrebbe violato non solo il diritto alla difesa ma anche il principio di eguaglianza (tenuto conto che l’imputato sarebbe irragionevolmente discriminato), ai fini dell’accesso ai procedimenti speciali, alla luce dalla maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal Pubblico Ministero.
Considerato che l’affidamento in prova è un procedimento speciale a tutti gli effetti che comporta l’estinzione del reato (se eseguito correttamente), la Corte ha ritenuto illegittimo l’art. 516 c.p.p. nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al Giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Infine, si rileva che con la sentenza n. 10787 del 30.03.20202, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’art. 168 bis c.p. non si limita a prevedere il contenuto e i presupposti di applicabilità della messa alla prova, ma precisa che il suo svolgimento deve essere articolato con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato.
 
 
Pertanto, il Giudice che abbia notizia di impedimenti temporanei di salute che possano riverberarsi sul regolare e tempestivo svolgimento della messa non può respingere la domanda, ma deve richiedere i necessari approfondimenti ai servizi a ciò deputati (Polizia Giudiziaria, Servizi Sociali o altri Enti), in modo da rendere il programma compatibile con le necessità dell’imputato, senza pregiudicare la possibilità di costui al reinserimento sociale.
Pertanto, le condizioni di salute dell’imputato non possono limitare a priori l’accesso alla messa alla prova: il Giudice potrà negare l’accesso a tale istituto soltanto laddove, dagli accertamenti svolti, risulti impossibile, per il reo, svolgere l’attività che forma oggetto del programma e, quindi, non sia possibile perseguire il reinserimento sociale previsto dalla legge.
Quindi, da un lato, le norme processuali delimitano rigidamente la messa alla prova e, dall’altro lato, la giurisprudenza cerca di ampliare le possibilità applicative, allentandone le maglie, in un ordinamento giuridico basato sul principio della legalità per cui “nulla poena sine iudicio“.
In conclusione, vi è da osservare che, nell’applicazione pratica, l’istituto in questione non è considerato particolarmente appetibile.
Ciò, a causa della limitazione della sua sfera di applicabilità in relazione ai reati puniti con la pena detentiva (pena non superiore nel massimo a 4 anni, oltre reati per cui è prevista la citazione diretta, v. sopra), potendo, alcuni imputati, contare sulla prescrizione del reato dovuta anche a lungaggini burocratiche o, eventualmente, in sede di patteggiamento (o all’esito del giudizio dibattimentale), sulla sospensione condizionale della pena.
Si sa, la valutazione è sempre molto soggettiva!

Avv. Elisa Spingardi