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Il coniuge superstite può continuare a vivere nell’alloggio di proprietà dell’altro coniuge, al momento del decesso di quest’ultimo, o dovrà abbandonarlo assecondando le richieste dei coeredi che vogliono procedere alla divisione ereditaria?

Deceduto il genitore proprietario dell’immobile, il figlio con questi convivente dovrà lasciare l’alloggio oppure potrà continuare ad abitarlo pretendendo, un coerede, la propria quota?

E, ancora, il convivente more uxorio, al momento del decesso del compagno dovrà liberare l’alloggio di proprietà di quest’ultimo o avrà la facoltà di continuare ad abitarlo?

Questi sono solo alcuni dei quesiti che riguardano i diritti dell’habitator.

Il diritto di abitazione è un diritto reale su beni altrui che consiste nella facoltà di godere di un immobile di altri.

Tale diritto è disciplinato dagli articoli 1022 e seguenti del Codice Civile e spetta ai familiari, ovvero ai figli e alle persone conviventi con il titolare del diritto al fine di prestare a questi, o alla sua famiglia, i loro servizi.

 

Il diritto di abitazione può essere costituito mediante testamento, per usucapione o con contratto (atto notarile o una scrittura privata), oppure può essere acquistato ex lege, nel caso dei coniugi, all’apertura della successione di uno dei due.

L’articolo 540 C.C. afferma: “A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’Articolo 542 per il caso di concorso con i figli. Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”.

Il legislatore ha voluto tutelare le abitudini di vita del coniuge superstite, evitando l’ulteriore danno derivante dal dover abbandonare la casa familiare, con conseguente tutela dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e delle consuetudini come la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio.

Ai fini dell’esercizio del diritto di abitazione, a nulla rileva, per l’individuazione della casa familiare, che i componenti della famiglia e, in particolare, i coniugi, possiedano la residenza nel medesimo immobile: ciò che conta è dove effettivamente si sia svolta la quotidiana vita domestica di marito, moglie e prole.

Il diritto di abitazione spetta, proprio in ragione dei particolari bisogni abitativi che l’istituto tende a soddisfare, solo alle persone fisiche e non anche quelle giuridiche.

Inoltre, l’immobile (in cui s’intendono ricomprese anche le pertinenze quali i balconi, le cantine, i garages, i giardini ecc.), deve possedere il requisito dell’abitabilità: in altre parole, non è possibile godere dell’alloggio in modo diverso da quello abitativo come, ad esempio, adibirlo a magazzino, a negozio o ufficio.

 

 

L’habitator, inoltre, è tenuto a sostenere le spese inerenti le riparazioni ordinarie e il pagamento dei tributi, mentre le spese straordinarie sono a carico del proprietario (o dei proprietari) dell’immobile, come affermato anche dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 9920 del 19 aprile 2017.

Il diritto di abitazione è personale, non può essere trasmesso, ceduto o dato in locazione e perdura sino a che il titolare non muoia, non vi rinunci, non scada il termine previsto dall’atto con il quale il diritto è stato costituito, oppure il bene immobile perisca o, ancora, il diritto stesso si consolidi (ovvero quando si riuniscono in capo alla stessa persona sia il diritto di abitazione che il diritto di proprietà).

L’immobile su cui grava un diritto di abitazione può essere pignorato, tuttavia il pignoramento non può estendersi al diritto di abitazione che è impignorabile.

Trattandosi di un diritto acquistato automaticamente dal coniuge al momento dell’apertura della successione, anche se non trascritto immediatamente, potrà sempre essere fatto valere nei confronti degli altri eredi (ed anche nei confronti dei terzi) eventualmente con una trascrizione successiva al momento dell’acquisto, senza che il coniuge perda il diritto acquisito.

A tale riguardo occorre precisare, però, che solo la trascrizione è idonea a mettere al riparo da eventuali trascrizioni pregiudizievoli operate da terzi sull’immobile.

Si pensi al caso in cui un erede del coniuge defunto venda la propria quota di nuda proprietà: in mancanza di trascrizione del diritto di abitazione da parte del coniuge superstite, il di lui diritto risulterebbe apparente e l’acquirente potrebbe vedere salvo il proprio acquisto.

 

La giurisprudenza, sul punto, è divisa: da un lato afferma che ai fini della opponibilità ai terzi non è necessaria la trascrizione del diritto in questione in quanto il diritto nasce per il solo fatto dell’esistenza di un coniuge superstite e di una dimora familiare (tra tante la sentenza del Tribunale Ivrea del 05/04/2017) e dall’altro, più rigidamente, afferma che: “I diritti di abitazione e di uso, in quanto diritti reali, devono essere soggetti a trascrizione. Se non viene trascritto, il diritto di abitazione non è opponibile ai terzi, che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione dell’atto da cui il diritto di abitazione discende” (Tribunale di Monza del 27 dicembre 2011).

In ogni caso, a scanso di equivoci, è preferibile procedere alla trascrizione del diritto.

In assenza di testamento, sarà sufficiente presentare al Conservatore il certificato di denuncia di successione oppure una nota accompagnata dal certificato di morte, in cui sia indicato lo stato di coniuge e la conseguente operatività ex lege del secondo comma dell’art. 540 C.C.-

Nel caso in cui, invece, la casa familiare ove i coniugi hanno vissuto fosse di proprietà di terzi, il coniuge superstite potrà ugualmente far valere il proprio diritto di abitazione e uso degli arredi?

 

 

La giurisprudenza ha affermato che non spetta al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e sui mobili che la corredano, qualora l’abitazione coniugale non sia in proprietà esclusiva del coniuge defunto o in comunione fra i coniugi, ma sia in una situazione di contitolarità del de cuius con terzi estranei (tra le altre, v. la sentenza del Tribunale di Trento del 18/10/2012), ovvero l’immobile appartenga, completamente, in proprietà a terze persone.

In entrambi i casi, l’unico modo per permettere al coniuge superstite di continuare ad abitare nella casa familiare è quello di trovare un accordo con il proprietario.

La Suprema Corte con una recente pronuncia ha, inoltre, affermato che il diritto di abitazione e quello d’uso degli arredi hanno natura di legati ex lege e si costituiscono automaticamente in capo al coniuge al momento dell’apertura della successione, anche se il decuius – testatore abbia attribuito ad altri, in eredità, la proprietà della casa o il godimento della stessa (v. ordinanza della Cassazione Civile, n. 15667 del 11/06/2019).

Il coniuge, pertanto, potrà rivendicare il diritto all’abitazione e all’uso dei mobili anche senza ricorrere eventualmente all’azione di riduzione, mentre gli altri eredi cui sia stata eventualmente attribuita la casa familiare non potranno avanzare alcuna pretesa sul diritto medesimo, salvo rinuncia da parte del coniuge beneficiario.

Nel caso in cui, invece, i coniugi siano separati (ma non ancora divorziati), dottrina e la giurisprudenza sono discordanti sull’operatività del diritto di abitazione.

 

 

Mentre per la dottrina il diritto previsto dall’art. 540, comma 2, c.c., spetterebbe anche al coniuge separato senza addebito, superstite, la giurisprudenza di legittimità è di contrario avviso.

Infatti, per gli Ermellini lo stato di separazione personale dei coniugi costituisce un ostacolo insormontabile al sorgere dei diritti d’abitazione e d’uso in quanto vi è l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare, con ciò venendo meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti di abitazione e uso ex art. 540 C.C.-

Con ordinanza n.  15277 del 05/06/2019, la Suprema Corte ha affermato che: L’art. 540, comma 2, stabilisce che al coniuge del defunto sia riservato il diritto di abitazione “sulla casa adibita a residenza familiare”, nonché quello di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tale diritto è ritenuto non spettante al coniuge superstite qualora sia precedentemente intervenuta una separazione legale dal de cuius: la norma in esame, infatti, è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi dopo la separazione”.

Ci si domanda, infine, se il diritto di abitazione e uso degli arredi sia, parimenti, assicurato anche al convivente more uxorio, superstite.

Nonostante l’evoluzione normativa, la convivenza non è ancora stata equiparata al matrimonio: pertanto, conviventi e coniugi non godono degli stessi diritti. 

La Legge n. 76 del 2016 (c.d. Legge Cirinnà), all’art. 1, comma 42, prevede “salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni”.

Sul punto è intervenuta a chiarimento anche l’Agenzia delle Entrate che, con la risposta n. 463, ha affermato che il diritto di abitazione previsto dalla Legge Cirinnà deve essere indicato nella dichiarazione di successione, in quanto diritto personale di godimento attribuito ad un soggetto che non è erede o legatario.

Il convivente superstite perde il diritto di abitazione, immediatamente, nel caso in cui stringa un nuovo patto di convivenza, matrimonio o unione civile con terzi.

 
Avv. Elisa Spingardi