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Il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche è un tema sempre attuale e di grande interesse.E’ stato recentemente affermato, infatti, che: “L’eliminazione delle barriere architettoniche, espressione di un principio di solidarietà sociale e che persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, presuppone che i problemi delle persone affette da una qualche specie di invalidità debbano essere assunti dall’intera collettività imponendo, tal senso, nella costruzione di edifici privati e nella ristrutturazione di quelli preesistenti, le barriere architettoniche siano eliminate indipendentemente dall’effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili” (Cons. Stato Sez. III, 09/06/2020, n. 3699) e che: “Le opere necessarie per eliminare le barriere architettoniche sono di fondamentale importanza per la vivibilità dell’appartamento con la conseguenza che nel valutare la legittimità o meno dell’installazione di un ascensore nel vano scale da parte del singolo condominio si deve tenere conto del principio di solidarietà, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili.” (Cass. Civ. Sez. II, 12/03/2019, n. 7028).

Per “barriera architettonica” s’intende qualsiasi ostacolo fisico che costituisca fonte di disagio per la mobilità di chiunque e, in particolare, di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea e, comunque, qualsiasi ostacolo che limiti o impedisca a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti.

Tutti hanno diritto alla libertà di movimento e devono poter accedere liberamente sia ad uno spazio abitativo ad uso residenziale che ad uno pubblico.

In Italia, la principale fonte normativa in tema di barriere architettoniche è costituita dalla Legge n. 13 del 1989 e dal suo regolamento di attuazione, il Decreto Ministeriale n. 236 del 1989.

In materia condominiale, la Legge n. 220 del 2012 (cosiddetta legge di riforma del condominio) ha parzialmente modificato la citata normativa, stabilendo ulteriori regole per l’abbattimento delle barriere architettoniche e disciplinando gli interventi straordinari finalizzati alla loro eliminazione. 

Infatti, non è raro che all’interno degli edifici condominiali (soprattutto, in quelli di vecchia costruzione) vi siano ostacoli che inibiscono la mobilità del singolo: si pensi alla mancanza dell’ascensore, alla presenza di una porta troppo stretta che impedisce l’accesso all’ascensore con una sedia a rotelle, oppure alla presenza di un gradino troppo alto o di una pendenza eccessiva.

 

Preliminarmente, per poter rimuovere gli ostacoli è necessaria una delibera assembleare ad hoc.

Affinché la delibera potesse essere valida, la Legge n. 13 del 1989 aveva previsto un quorum agevolato pari, cioè, in seconda convocazione, alla maggioranza degli intervenuti che rappresentassero almeno un terzo dell’edificio (ovvero 334 millesimi).

La Legge n. 220 del 2012 modificando (in senso peggiorativo) tale previsione, stabilì che la delibera dovesse essere assunta con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti rappresentanti almeno la metà del valore dell’edificio (cioè 500 millesimi).

Il legislatore giustificò tale revirement con la necessità di ottenere una volontà comune il più uniforme possibile. 

Nonostante la previsione normativa, nel rispetto delle esigenze dei disabili, la Suprema Corte si mostrò più sensibile rispetto al legislatore.

Infatti, prendendo spunti dalla sentenza Cass. Civ. n. 2156 del 14.2.2012 (con cui era stato risolto il conflitto tra chi aveva agito per contrastare i lavori di realizzazione di un ascensore nel vano scala -ritenuti pregiudizievoli per la fruibilità delle parti comuni e per la statica dell’edificio- e i condomini interessati all’installazione), gli ermellini evidenziarono che, a fronte del conflitto tra le esigenze dei condomini disabili, praticamente impossibilitati a raggiungere l’abitazione a piedi e quelle degli altri partecipanti al Condominio (per cui il pregiudizio derivante dall’installazione dell’ascensore si sarebbe risolto soltanto in un disagio e scomodità conseguente alla relativa restrizione della scala e nella difficoltà in caso di usi eccezionali della stessa), dovesse essere adottata una soluzione equilibrata e conforme ai principi costituzionali della tutela della salute (art. 32 Cost.) e della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.).

La Cassazione ha, pertanto, riconosciuto il diritto alle persone versanti in condizioni di minorazione fisica ad installare a proprie spese l’ascensore, con conseguente modificazione alla cosa comune.

 

 

Tra tante: “In tema di condominio, l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche, rientra fra le opere di cui all’art. 27, comma 1, della l. n. 118 del 1971 ed all’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 384 del 1978, e, pertanto, costituisce un’innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, della l n. 13 del 1989, va approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, commi 2 e 3, c.c., ovvero, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, che può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con l’osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2; peraltro, la verifica della sussistenza di tali ultimi requisiti deve tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purchè lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione. (Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 09/03/2017, n. 6129).

Il legislatore ha, altresì, previsto la possibilità di ottenere un aiuto economico per la realizzazione delle opere necessarie all’abbattimento delle barriere architettoniche.

La Legge n. 13 del 1989 prevede la possibilità di domandare al Sindaco del Comune i contributi «per interventi atti al superamento delle barriere architettoniche su immobili privati già esistenti ove risiedono portatori di menomazioni o limitazioni funzionali permanenti (di carattere motorio e dei non vedenti)».

Tali contributi riguardavano solo ed esclusivamente gli interventi posti in essere da persone con una disabilità riconosciuta del 100%. 

Recentemente, però, l’art. 10, comma 3, del Decreto Legge n. 76 del 2020, c.d. Decreto Semplificazioni ha apportato, proprio in tema di abbattimento delle barriere architettoniche in ambito condominiale, importanti modifiche alla Legge n.13 del 1989. 

 

 

Il citato art. 10, comma 3, afferma, infatti, che: “-omissis- ciascun partecipante alla comunione o al condominio può realizzare a proprie spese ogni opera di cui agli articoli 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, e 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, anche servendosi della cosa comune nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 del codice civile. Alla legge n. 13 del 1989 sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 2, comma 1, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell’articolo 1121, primo comma, del codice civile. Per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell’articolo 1120 del codice civile”; b) l’articolo 8 è abrogato -omissis-“. 

Il nuovo testo normativo recepisce, pertanto, l’orientamento giurisprudenziale per cui, nel rispetto del pari uso delle cose comuni, ciascun condomino, con iniziativa individuale, può autonomamente intraprendere opere idonee al superamento delle barriere architettoniche sulle parti comuni (v. Cass. Civ. 16.05.2014 n. 10852, nonché la sentenza del 2017, sopra citata).

Ma la vera novità introdotta dal Decreto Semplificazioni, in materia, attiene alla disciplina deliberativa delle innovazioni volte all’eliminazione delle barriere architettoniche: la delibera d’installazione di un dispositivo volto ad eliminare le barriere architettoniche non potrà più essere più considerata un’innovazione voluttuaria, ai sensi dell’art. 1121 comma 1, c.c.-

La realizzazione di tali opere comporterà solo il divieto di non recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato come previsto dal precedente art. 1120 c.c.-

La nuova norma, però, non fa cenno né alla gravosità delle spese (che è l’altro limite a cui vanno incontro le innovazioni) né al limite del decoro architettonico contemplato dall’ultimo comma dell’art. 1120 c.c., sempre in tema di innovazioni.

 

 

E’ possibile che il legislatore nel semplificare la normativa non abbia volutamente considerare l’aspetto estetico del condominio, preferendo dare priorità a quello pratico e utile dell’innovazione. 

Tale dimenticanza, però, stride con il fatto che non sia stato menzionato neppure il divieto di rendere inservibili all’uso e al godimento, anche di un solo condomino, le parti comuni dell’edificio condominiale.

E ciò anche alla luce dell’univoco orientamento giurisprudenziale sul punto. 

Ad ogni modo, per avere la corretta interpretazione e, soprattutto, per l’applicazione pratica, occorrerà attendere ulteriori precisazioni legislative e le interpretazioni giurisprudenziali che sicuramente non mancheranno.

Avv. Elisa Spingardi