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Il problema degli incidenti stradali provocati dagli animali è di rilevante importanza e le soluzioni cambiano a seconda che il sinistro sia causato da un animale domestico o da un animale selvatico.

Premesso che è specifico obbligo dell’automobilista prestare soccorso all’animale ferito ai sensi dell’art. 189, c. 9 bis del Codice della Strada (“L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, da cui derivi danno a uno o più animali d’affezione, da reddito o protetti, ha l’obbligo di fermarsi e di porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso agli animali che abbiano subito il danno. Chiunque non ottempera agli obblighi di cui al periodo precedente è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 410 a euro 1.643. Le persone coinvolte in un incidente con danno a uno o più animali d’affezione, da reddito o protetti devono porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso”), in questa sede ci si domanda se l’automobilista rimasto danneggiato a seguito di un sinistro avvenuto a causa di un animale selvatico, possa trovare ristoro e, in caso positivo, nei confronti di chi debba indirizzare la domanda.

Infatti, accade spesso che (soprattutto in Liguria ove la vegetazione è rigogliosa e prossima alla sede stradale), gli animali compaiano improvvisamente all’interno della carreggiata e si frappongano alla marcia della vettura.

 

 

Le conseguenze, frequentemente, consistono in seri danni alle automobili, ai passeggeri e, naturalmente, agli animali.

Quando si parla di “danno da fauna selvatica” si intende il pregiudizio economico causato da una animale che vive in libertà (come i cinghiali, i cervi, i lupi, i caprioli ecc.), ovvero animali provenienti direttamente dall’ambiente naturale.

La giurisprudenza di legittimità, con la sentenza della Corte di Cassazione del 20 aprile 2020, n. 7969 ha risolto ogni dubbio introducendo un principio che si discosta notevolmente dall’orientamento dominante sino a quel momento.

La pronuncia in esame introduce, infatti, due grandi novità: la prima, riguarda l’applicazione della responsabilità ex art. 2052 c.c. ai danni cagionati dalla fauna selvatica e, la seconda, riguarda, invece, l’individuazione della Regione quale unico legittimato passivo a cui rivolgere le richieste di risarcimento del danno.

Infatti, la sentenza di cui trattasi stabilisce nello specifico che ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato, ai sensi della Legge n. 157/1992 (cosiddetta Legge sulla caccia), si applichi il criterio di imputazione della responsabilità previsto dall’art. 2052 c.c.-

 

 

La Regione è il soggetto pubblico responsabile, in quanto Ente a cui spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte da altri Enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che «si serve», in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

L’orientamento giurisprudenziale originario prevedeva, invece, che la responsabilità della Pubblica Amministrazione avesse natura extracontrattuale, ex art. 2043 c.c.-

Pertanto, gravava sul danneggiato l’onere di individuare il comportamento colposo dell’Ente Pubblico per poter dimostrare che l’evento dannoso fosse dovuto al mancato adempimento dell’Ente medesimo ad una condotta obbligatoria, stabilità per legge (tra tante si vedano le sentenze della Corte di Cassazione n. 8788/1991, n. 9276/2014 e n. 5722/2019).

Con riferimento all’art. 2052 c.c., la Suprema Corte aveva affermato a chiare lettere che detta responsabilità fosse ipotizzabile solo per i danni provocati da animali domestici o in cattività che, sfuggiti al controllo del proprietario, avessero causato danni alle persone.

Infatti, l’art. 2052 c.c. prevede espressamente che: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Tale indirizzo era stato avvallato anche dalla Corte Costituzionale che, con la pronunzia n. 4 del 04.01.2001, aveva stabilito che l’articolo di cui sopra fosse “applicabile solo in presenza di danni provocati da animali domestici, mentre per quelli cagionati da animali selvatici si applica invece l’art. 2043 c.c.: infatti, nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico (o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da terzi secondo il criterio di imputazione ex art. 2052 c.c., laddove i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell’intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile ex art. 2043 c.c.”.

 

 

Negli anni la giurisprudenza ha, poi, apportato dei correttivi, specificando che la responsabilità per danni causati da animali selvatici non fosse sempre e solo imputabile alle Regioni ma potesse essere imputata anche alle Province, agli Enti Parco, alle Federazioni, Associazioni ecc. a cui fossero stati affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna selvatica.

Pertanto, non si parlava più di un unico legittimato passivo.

La sentenza n. 7969/2020, dopo aver illustrato analiticamente l’iter giurisprudenziale del passato, si concentra sulla “questione di fondo”, ovvero la scelta del criterio di imputazione della responsabilità, osservando che l’art. 2052 c.c. non contiene alcuna espressa limitazione agli animali domestici e che, contrariamente all’art. 2051 c.c. (responsabilità per danni da cose in custodia), non presuppone la sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell’animale da parte dell’uomo, ma si riferisce esplicitamente alla “proprietà” dell’animale.

Da qui discende che il diritto di proprietà sancito in relazione ad alcune specie di animali selvatici dalla Legge n.157 del 1992 in capo allo Stato (quale patrimonio indisponibile) è idoneo a determinare l’applicabilità del regime di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., per cui spetterà al danneggiato dimostrare che il danno è stato causato dall’animale selvatico.

 

 

Il danneggiato dovrà dimostrare la dinamica del sinistro e il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale ad una specie oggetto della tutela della Legge n. 15771992 e/o che, comunque, si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

Il danneggiato non dovrà allegare e dimostrare alcun elemento soggettivo, in quanto trattasi di un’ipotesi di responsabilità oggettiva che, come tale, risponde all’intento legislativo di privilegiare il danneggiato rispetto al  danneggiante.

In altri termini, ai sensi dell’art. 2052 c.c., la responsabilità del proprietario o detentore dell’animale è presunta ed è fondata sul rapporto di fatto con l’animale stesso.

La Regione per andare esente da qualsivoglia responsabilità dovrà, invece, fornire la dimostrazione che il fatto è avvenuto per “caso fortuito”, ovvero che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo, cioè che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta.

 

 

Nella realtà dei fatti accade spesso, però, che la Regione deleghi le proprie funzioni ad altri Enti (quali Province, Enti Parco ecc.), cui è demandata anche l’adozione concreta delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna e di cautela per i terzi.

Anche in questo caso, legittimato passivo per il risarcimento del danno resterà, come detto, la Regione, quale Ente a cui spettano, per Costituzione e leggi statali, le competenze normative.

La Regione avrà, eventualmente, la possibilità di rivalersi sull’Ente delegato nel caso in cui questo si sia reso inadempiente ai propri doveri.

Il fatto che la Regione abbia il diritto di rivalsa nei confronti di eventuali Enti delegati non muta il rapporto con il danneggiato, il quale potrà sempre e solo indirizzare le proprie richieste di risarcimento del danno, giudiziali o stragiudiziali, alla Regione.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, sorge spontaneo osservare che solo il tempo saprà rivelare se questo recentissimo orientamento (ben motivato e argomentato) sarà realmente destinato a rivoluzionare, come in oggi può sembrare, la materia del risarcimento del danno causato da animali selvatici, se susciterà il dirimente intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte a conferma tombale, oppure se, come talvolta accade, resti solo una voce isolata pronta ad essere smentita dalla prossima pronuncia di legittimità sul punto.

Avv. Elisa Spingardi