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Con l’implemento dell’informatizzazione e il potenziamento delle connessioni web è sempre più semplice mantenere i contatti interagendo a distanza, senza spostamenti, sia tra privati che con gli Enti Pubblici.

La diffusione di internet e la maggiore accessibilità a questo tipo di comunicazione, già gli scorsi anni ha permesso alla Pubblica Amministrazione e, con essa, al settore giudiziario di modernizzarsi.

 

 

Attualmente è operante, su tutto il territorio nazionale, il processo civile telematico (PCT) che permette la notifica degli atti giudiziari, l’iscrizione a ruolo delle nuove cause, il deposito telematico di atti nel fascicolo elettronico, tutto per mezzo della posta elettronica certificata (PEC), senza necessità di recarsi in Tribunale o in Corte d’Appello.

Il PCT è in uso nell’ambito del contenzioso civile in generale, della volontaria giurisdizione, del processo del lavoro, delle esecuzioni mobiliari, delle esecuzioni immobiliari e delle procedure concorsuali (sebbene, in via obbligatoria, solo per la fase successiva alla dichiarazione di apertura della procedura).

Anche i consulenti tecnici d’ufficio (CTU) nominati dai Giudici, hanno la possibilità di depositare i loro elaborati peritali in via PCT.

Tale sistema, introdotto dalla Legge n. 59/1997, dopo una lunghissima sperimentazione, è diventato obbligatorio per gli operatori del diritto solo dal mese di giugno 2014. 

Per quanto riguarda il settore penale, invece, non è ancora attivo il processo penale telematico (PPT): sono attive solo le notificazioni a mezzo PEC dalle cancellerie dei Tribunali e delle Corti d’Appello e dalla cancelleria della Corte di Cassazione, mentre non è previsto alcun particolare software per gli operatori esterni (avvocati e consulenti).

Le udienze sia civili che penali, fino alla fine del mese di febbraio 2020 si sono svolte come di consueto con la partecipazione degli avvocati, delle parti e dei testimoni dinanzi i Giudici, presso i Palazzi di Giustizia.

 

 

Successivamente, nel contesto emergenziale sanitario dettato dal Coronavirus, i Decreti Legge n. 11/2020 e n. 18/2020 hanno previsto la necessità di celebrazione delle udienze civili e penali a porte chiuse (laddove non fosse necessario garantire, ad esempio, l’audizione del detenuto, internato o persona in stato di custodia cautelare ed il suo difensore e qualora il numero degli imputati, che si trovassero in stato di detenzione in luoghi diversi, consentisse la reciproca visibilità), per mezzo di collegamenti da “remoto”, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti al processo.

Nei giorni scorsi si è parlato anche di “separazione e divorzio per e-mail”, forse in modo un po’ provocatorio e semplicistico o, forse, solo per fare audience.

Sul punto occorre, però, fare chiarezza affinché non si creda che, grazie al Covid-19, i matrimoni si possano veramente sciogliere con un click!

In realtà, spetterà agli avvocati rendere nota, attraverso una piattaforma informatica accessibile solo a loro, la volontà dei rispettivi clienti di separarsi o divorziare rinunziando a comparire personalmente dinanzi il Presidente del Tribunale per il tentativo di conciliazione.

Con l’emergenza sanitaria, al pari degli altri settori, anche il diritto ha subito uno stop: dal 09 marzo 2020 al 11 maggio 2020, infatti, l’attività forense ordinaria è stata sospesa e le udienze e i termini procedurali (come il deposito o la notifica degli atti), sono stati posticipati, spesso, a dopo l’estate.

Purtroppo, la sospensione ha riguardato anche il diritto di famiglia: benché i presìdi giudiziari siano rimasti operativi per le ipotesi di violenza familiare, per i casi molto urgenti, per le adozioni e i procedimenti relativi ai bambini allontanati dalla famiglia di origine, la sospensione delle attività giudiziarie, seppur giustificata dall’esigenza di tutela della salute pubblica, di fatto ha creato delle problematiche. 

 

 

Spesso, infatti, i coniugi e le famiglie necessitano di risposte veloci e l’attesa di mesi può essere deleteria: si pensi a chi ha necessità di separarsi perché obbligato ad una convivenza forzata, a chi è sottoposto a violenza o abusi, ai minori privati della presenza di un genitore a causa del comportamento dell’altro oppure a coloro che hanno perso il lavoro o hanno subìto la riduzione delle entrate e sono obbligati al pagamento dell’assegno di mantenimento fissato in epoca pre-Covid-19 (quando guadagnavano di più) e attualmente non possono smettere di pagare in quanto rischierebbero una condanna in sede penale.

Pertanto, al fine di non pregiudicare la vita familiare, il Consiglio Nazionale Forense (CNF), nella seduta amministrativa del 20 Aprile 2020, è intervenuto per agevolare la procedura di separazione e divorzio dei coniugi, varando nuove linee guida inerenti la gestione dei procedimenti che riguardano la famiglia, limitatamente al periodo di emergenza e, comunque, non oltre la data del 30 giugno 2020.

Il provvedimento in analisi afferma: “-omissis- Tenuto conto che nell’attuale situazione emergenziale di contenimento della epidemia da COVID-19 si è correttamente ritenuto che siano da tutelare due diritti costituzionali fondamentali ovvero, da un lato, le esigenze di tutela della salute pubblica (art. 32 Cost.), dall’altro quelle della tutela della famiglia (art. 29 e 30 Cost.), famiglia da intendersi come formazione naturale nella quale si debba proseguire a convivere in armonia, evitandosi ogni forma di costrizione ed in genere di degenerazione dei rapporti, massimamente nel precipuo interesse della prole. -omissis”.

Per quanto riguarda i procedimenti di natura consensuale (ovvero quelli in cui i coniugi hanno già trovato un accordo), il CNF ha previsto che, fino alla cessazione della fase emergenziale, sia ammesso il deposito esclusivamente telematico dei ricorsi per separazione consensuale, divorzio congiunto, ricorso congiunto ex art. 337 bis c.c. (inerente l’esercizio potestà genitoriale), ricorso congiunto ex art. 337 quinques c.c. (revisione disposizioni concernenti l’affidamento dei figli) e ricorso congiunto ex art. 710 c.p.c. (modifica provvedimenti separazione tra coniugi).

 

Inoltre, le parti potranno scegliere la cosiddetta “trattazione scritta”.

Pertanto, i difensori, anche alla luce della sentenza della Corte Cassazione n. 34 del 07.01.2008 (che ha affermato la non indispensabilità del tentativo di conciliazione ogni volta che non se ne ravvisi la necessità), almeno ventiquattro ore prima della cosiddetta “udienza virtuale”, potranno depositare telematicamente una dichiarazione sottoscritta dalle parti in cui ognuna dichiara, con atto separato, di essere a conoscenze delle norme processuali che prevedono la partecipazione all’udienza, di essere edotta della possibilità di procedere all’alternativa della rinuncia alla presenza fisica e di avervi aderito liberamente e coscientemente, di non voler conciliare, di confermare le conclusioni già rassegnate nel ricorso.

A seguito di tale espressa manifestazione di volontà, il Tribunale potrà omologare l’accordo (nel caso di separazione), pronunziare la sentenza (nel caso di divorzio congiunto) o emettere il decreto collegiale (nelle altre ipotesi).

Quanto sopra, previa trasmissione telematica degli atti al Pubblico Ministero, per il necessario parere.

Per quanto riguarda, invece, i procedimenti di natura contenziosa (quelli, cioè, ove i coniugi necessitano dell’intervento del Giudice in quanto non sono riusciti a trovare un accordo sulla separazione o divorzio), la legge prevede che le parti siano sentite personalmente dal Presidente del Tribunale e che sia tentata la conciliazione (art. 708, c. 4, c.p.c. e Legge n. 898/1970 e ss.mm.).

Anche in questo caso le linee guida del CNF prevedono che l’udienza possa essere celebrata da remoto se compatibile con le esigenze delle parti, previa comunicazione della disponibilità delle parti ad agire in tal senso, da far pervenire al Tribunale.

 

 

Il ricorso all’udienza da remoto resta, invece, precluso nei casi in cui la trattazione con udienza ordinaria sia necessaria per valutare più attentamente il caso (ad esempio nei procedimenti ove vi siano figli minori o sia necessario valutare le capacità genitoriali, se vi sono problematiche personali).

E’ stato stabilito che con l’udienza da remoto possa essere esperito anche il tentativo di conciliazione tra le parti: il Presidente del Tribunale, laddove lo ritenga, potrà convocare separatamente i coniugi (ricorrente e resistente) attraverso collegamenti separati ovvero in orari differenti per ascoltarli; in quest’ultima ipotesi, convocherà poi ad un terzo orario l’udienza con la presenza di tutte le parti.

Seguirà una verbalizzazione della trattazione congiunta che sarà sottoposto alle parti e ai rispettivi legali attraverso la modalità “condividi schermo” prevista dalla piattaforma telematica utilizzata e ciò corrisponderà alla sottoscrizione del verbale stesso da parte dei coniugi.

Le linee guida del CNF hanno, infine, previsto regole in materia di negoziazione assistita, stabilendo che gli accordi vengano depositati presso la Procura della Repubblica in via telematica, a mezzo PEC, e il relativo provvedimento di nulla-osta o autorizzazione rilasciato dal Pubblico Ministero possa essere trasmesso agli avvocati, sempre in modalità telematica, con autorizzazione a questi ultimi a trasmettere il documento agli Ufficiali dello stato civile, via PEC.

 

 

Ai fini del perfezionamento dell’accordo e dei successivi adempimenti, l’autografia della sottoscrizione delle parti avverrà attraverso l’identificazione da parte dei legali da remoto.

Nel caso in cui la Procura della Repubblica non dovesse autorizzare gli accordi e rinviare avanti al Presidente del Tribunale, questi fisserà udienza che potrà avvenire anche con collegamento da remoto, previo consenso dei difensori e l’udienza si terrà con le modalità di cui sopra.

Quando si parla di negoziazione assistita ci si riferisce a quell’istituto che permette la risoluzione alternativa delle controversie, introdotto dal c.d. “decreto giustizia” ” (DL n. 132/2014, convertito in L. n. 162/2014), finalizzato a dettare “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”.

La negoziazione assistita consiste, sostanzialmente, nella stipula di un contratto (o convenzione) con cui le parti si impegnano a risolvere bonariamente una controversia con l’assistenza di avvocati.

Detta procedura può essere utilizzata, in alternativa alla giurisdizione ordinaria, per qualsiasi tipo di controversia vertente in materia di diritti disponibili, tra cui anche il diritto di famiglia e, in particolare, in caso di separazione personale, cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio, costituendo una via molto rapida per ottenere il risultato, con svolgimento della procedura al di fuori del Tribunale. 

 

 

La separazione consensuale a mezzo di negoziazione assistita richiede necessariamente l’assistenza da parte di un avvocato per ciascun coniuge e vi possono accedere le coppie sia in presenza che in assenza di figli, minori o maggiorenni, incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti.

Nel caso in cui i coniugi raggiungano l’accordo in seguito alla convenzione di negoziazione assistita, il testo è sottoposto al vaglio del Procuratore della Repubblica, presso il Tribunale competente che, qualora non ne ravvisi irregolarità e lo ritenga dettato anche nell’interesse dei figli (se vi sono), comunicherà il nullaosta agli avvocati.

In caso contrario, il Pubblico Ministero trasmetterà il testo al Presidente del Tribunale che, nel termine massimo di trenta giorni, disporrà la comparizione delle parti.

Una volta autorizzato, l’accordo, nel quale gli avvocati devono dare atto di aver esperito il tentativo di conciliazione tra le parti informandole della possibilità di ricorrere alla mediazione familiare, è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti in materia.

Pertanto, la digitalizzazione di ulteriori settori della giustizia oltre la preminente funzione di tutela della salute pubblica persegue, altresì, l’obiettivo di velocizzazione dei procedimenti, riservando la presenza fisica delle parti e dei legali solo a quelle udienze in cui sia effettivamente necessaria.

Ma se da un lato la giustizia beneficerà (si spera) della tanto auspicata celerità, dall’altro, senza entrare nel merito della fattibilità tecnica delle udienze via web (e dei tipici problemi di connessione che si potranno verificare anche in tale sede: io la vedolei mi sente?) e della quasi sicura necessità di miglioramento essendo un sistema non ancora testato, tale procedura lascia spazio a tanti dubbi, primo tra tutti quello relativo all’effettiva tutela del contraddittorio tra le parti.

 

 

Il principio del contraddittorio, tutelato nella nostra Costituzione quale attuazione del diritto di difesa, (art. 24 Cost.) e attuazione del giusto processo (art. 111 Cost), assicura che nessuno possa essere soggetto ad una sentenza senza aver avuto la possibilità di un’effettiva partecipazione, quale parte del processo, alla formazione del provvedimento giurisdizionale. 

Anche se doveroso, è difficile pensare che da remoto e, quindi, fuori dalla sede processuale “classica” che è quella del Palazzo di Giustizia, senza la presenza fisica di avvocati e parti alle udienze, il contraddittorio possa essere garantito anche in tutte le sue sfumature. 

Occorrerà sicuramente una buona dose di adattamento da parte di legali e giudici e la necessaria modifica di quelle che erano le consuetudini comportamentali in sede di udienza ma, probabilmente, a discapito dei clienti.

Certo è che andrà perduta quella naturalezza e quella parte di comunicazione non verbale (il linguaggio del corpo) che ha sempre rivestito grande importanza per gli operatori del diritto anche meno sensibili: si pensi solo alla gestualità argomentativa, all’espressività, alle modalità di partecipazione delle parti all’udienza…parametri, tutti, che risulteranno, se non annullati, per lo meno falsati in video con la conseguente naturale compressione del diritto al contraddittorio, per lo meno inteso nella sua formula più ampia.

 

Avv. Elisa Spingardi